TEORIA DELLE “FINESTRE ROTTE”, SICUREZZA, START-UP, INNOVAZIONE E SHARING ECONOMY: COME CONCILIARE IL TUTTO?
di Stefano Peroncini – United Risk Management
Vi chiederete, cosa mai c’entra la sharing economy con delle finestre rotte?
Ebbene, partiamo da quella che è una teoria molto conosciuta dagli addetti ai lavori nell’ambito sicurezza e psicologia sociale, quella delle Finestre Rotte elaborata nell’ormai lontano 1969 da uno piscologo della Stanford University, tal Philip Zimbardo.
In uno dei suo esperimenti sociali, lo studioso prese due auto senza targa ma identiche (nella marca e persino nel colore) e scelse due aree completamente differenti tra di loro: una era il Bronx, all’epoca uno dei più malfamati quartieri di New York, l’altra era la ridente e solare Palo Alto in California, oggi patria delle start-up e dell’innovazione tecnologica.
Ebbene, l’esperimento consistette nell’abbandonare le due vetture in posti totalmente differenti tra di loro e osservare cosa sarebbe successo. Fu un esperimento particolarmente interessante: nel Bronx la risposta arrivò nel giro di poche ore, l’auto abbandonata venne smantellata e depredata di tutto. Man mano che i passanti si avventuravano sulla macchina, allo scarseggiare dei pezzi da portar via, ci fu l’accanimento anche sul mezzo stesso, dai finestrini rotti ai sedili divelti fino a ridurre l’auto un rottame degno della peggior periferia abbondata e malfamata. Al contrario, l’auto di Paolo Alto rimase intatta.
L’esperimento continuò: i ricercatori ruppero un vetro della macchina di Paolo Alto; questo diede via allo stesso fenomeno registrato nel Bronx, di vandalismo della vettura. Era come se il vetro rotto avesse fatto cadere i freni inibitori dei passanti.
Wikipedia così definisce la teoria delle finestre rotte, “una teoria criminologica sulla capacità del disordine urbano e del vandalismo di generare criminalità aggiuntiva e comportamenti anti-sociali”. E ancora, “La teoria afferma che mantenere e controllare ambienti urbani reprimendo i piccoli reati, gli atti vandalici, la deturpazione dei luoghi, il bere in pubblico, la sosta selvaggia o l’evasione nel pagamento di parcheggi, mezzi pubblici o pedaggi, contribuisce a creare un clima di ordine e legalità e riduce il rischio di crimini più gravi.” Il concetto è semplice: disordine e crimine sono di solito inestricabilmente legati, in una sorta di sequenza evolutiva, degrado attira degrado.
In sostanza, al di là di essere più o meno d’accordo su questa teoria e sul reale impatto della sua applicazione (diventata poi famosa nei primi anni 90 con il sindaco di New York Rudi Guliani e il suo “tolleranza zero”), il concetto di disordine mi forza a fare un collegamento – lo ammetto, forse un po’ provocatorio – con la sharing economy. E in particolare con il fenomeno del bike-sharing, che ultimamente sta rivoluzionando la mobilità urbana nei principali centri urbani italiani. Già, perché all’estero é un fenomeno consolidato da qualche anno.
Pensiamo per esempio a Milano, dove inizialmente il bike-sharing era basato sul concetto della rastrelliera: un approccio sicuramente innovativo per quando é stato lanciato ma troppo costoso in termini di manutenzione e di copertura capillare del territorio. E allora, il business model, grazie soprattutto ai cinesi di Mobike (le biciclette arancione) e Ofo (quelle gialle) é cambiato, diventando “stationless”, ossia senza le brutte e costose rastrelliere. Grazie ad una App e al Gps puoi localizzare la tua bici ovunque si trovi e passare al noleggio (esattamente come il bike-sharing), peraltro a prezzi irrisori. Ma vuoi mettere la comodità di prendere una bike dove vuoi, girare quanto ti serve e soprattutto lasciarla in qualunque posto, piuttosto che rincorrere le rastrelliere?
Ecco il problema, in qualunque posto: e quindi ci ritroviamo i marciapiedi letteralmente invasi dalle biciclette, certo fanno colore e rendono le città più smart, ma creano disordine! Molto disordine, e sono a rischio di danni e vandalismo. E di teoria delle finestre rotte? Chiaro il collegamento, no?
L’innovazione non si ferma e non si torna indietro, va “assecondata” ma va anche guidata e resa sempre eticamente sostenibile e compatibile con i bisogni primari di una società. Ma se il presidente dell’Unione italiana ciechi e ipovedenti Milano denuncia sul Corriere della Sera del 2 febbraio “la maleducazione di molti cittadini che da qualche tempo hanno preso la briga di abbandonare in ogni dove le biciclette in affitto, che vanifica gli sforzi dell’Amminstrazione e delle persone solidali verso i disabili”, vuol dire che siamo andati oltre, e si crea disordine e disagio. Sempre più numerose, prosegue la denuncia, “sono le segnalazioni di persone non vedenti cadute su queste biciclette abbandonate”.
Quindi un disordine generato dal bike sharing stationless che può contribuire non solo a far sì che altri si sentano autorizzati ad aver meno cura del luogo pubblico, ma che creano persino incidenti per quelle categorie più deboli o indifese.
Sono solito ragionare col classico buon senso del “padre di famiglia”: se ti trovi in un luogo pulito, ordinato e dov’è tutte le regole vengono rispettate (si pensi alla non lontana Svizzera) difficilmente si sarà portati a buttare una carta o un mozzicone di sigaretta per terra o a parcheggiare in doppia fila o peggio ancora lasciare un carrello della spesa sotto casa; viceversa, tutto è possibile e anche il perfetto cittadino di Palo Alto può trasformarsi in uno un po’ meno modello del Bronx.
Ahimè, io temo però che la lobby degli ipovedenti sia meno potente di quella dei taxisti, che in tempi non sospetti hanno contrastato la discesa del gigante Uber in Italia (facendo persino saltare la sua General Manager italiana) e quindi dobbiamo lavorare per rendere anche socialmente accettabile l’innovazione, la tecnologia e i modelli di business.
Per contrastare, ad esempio, i recenti casi di vandalismo che hanno visto le bici di Ofo e Mobike finire sugli alberi, devastate o scaraventate sul fondo dei Navigli in Milano, o ancora legate o parcheggiate in cortili interni, le plurifinanziate ex startup (oggi Unicorni, ossia aziende che valgono più di un miliardo di dollari) propongono di premiare gli utenti – con bonus in termini di account – che segnalano spontaneamente determinati utilizzi scorretti delle biciclette. E a sanzionare gli usi non virtuosi, che porta di fatto ad un incremento dei costi di noleggio, sino alla cancellazione dell’account.
La sensazione quindi é che non basterà affidarsi al buon senso degli utenti o alle linee guida di un Comune pilota all’avanguardia come Milano che prescrivono “il divieto di parcheggio sui marciapiedi, sosta vietata o a pagamenti o in posizioni di pericolo, rispettando il buon senso e considerando le esigenze altrui”.
Il concetto su cui lavorare é il “give back”, per incentivare l’uso corretto e allontanarci quanto più possibile dalle “finestre rotte”. Mi piace allora il progetto di Zehus, startup del Politecnico di Milano (con bici verdi questa volta), che ha realizzato un sistema brevettato all-in-one in cui l’alternanza del movimento start&stop genera una energia che viene accumulata (in un congegno integrato nel mozzo della ruota posteriore) per poi essere rilasciata progressivamente e supportare la pedalata, con una decelerazione progressiva (io ovviamente l’ho provata, e la sensazione che si ha è pazzesca!). Una soluzione di free floating, senza rastrelliera, ma con sensori a bordo per rilevare usi anomali e un sistema di gamification a punti su piattaforma Bitride (con partner Vodafone Automation) che potrà premiare chi mette a disposizione la propria bicicletta della collettività avendo “risparmiato” energia da mettere a disposizione per l’utente del successivo noleggio. E sempre con la logica di “ritornare” qualcosa alla collettività, i sensori di cui è dotata la bicicletta di Zehus sono in grado di leggere informazioni quali lo stato del manto stradale e ricostruire le “mappe di calore”, informazioni tutte utilissime alla Polizia Locale per esempio ai fini di manutenzione o gestione della mobilità urbana. In United abbiamo dapprima testato e, poi, utilizzato le tecnologie Zehus nell’esperienza di CityLife Milano, il moderno quartiere ancora in via di costruzione, ma già abitato, in cui United Risk Management si occupa della gestione della sicurezza degli spazi pubblici. Strumenti risultati molto utili ed efficienti per i nostri operatori in servizio, che vengono facilitati e agevolati nella copertura del territorio. Un ottimo esempio di tecnologia al servizio della collettività.
Siamo ancora in tempo, al momento le biciclette gialle attive in strada su Milano sono 4.650, mentre quelli di Mobike si assestano sulle 3.500 unità, circa, con l’obiettivo di arrivare a 8mila nel corso del 2018. E quelle verdi sono solo agli inizi, per ora 350, in fase di test. Agli innovatori e alle startup il compito di trovare modelli di business redditizi (e aggiungo, non solo valutazioni pre-money) ma che siano anche sostenibili da un punto di vista ambientale e della collettività.
Altrimenti, il rischio è che ci troveremo anche noi a fare foto come quelle che seguono o con tanti altri fenomeni (e sterili discussioni) tipo il braccialetto di Amazon che sta tenendo banco in questi ultimi giorni.
© United Risk Management
12 Febbraio 2018