Quanto sono sufficienti le whitelist per prevenire il crimine?

di Enrico Fedrighini – United Risk Management

Il Dpcm 24/11/2016 (pubblicato il G.U. il 31 gennaio di quest’anno), modificando il precedente Dpcm del 18 aprile 2013, che aveva istituito presso le Prefetture gli elenchi dei fornitori prestatori di servizi ed esecutori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa, chiarisce e rafforza il peso dell’iscrizione alle whitelist.

Per tutte le imprese che operano nei settori a maggiore rischio di infiltrazione mafiosa (trasporti inerti, rifiuti e conto terzi; ciclo del cemento; forniture metalli; noli a caldo e a freddo; smaltimento rifiuti; estrazione e fornitura inerti; guardiania) la nuova normativa prevede in modo esplicito che, senza iscrizione alla whitelist, non possono ottenere appalti pubblici o subaffidamenti. In sostanza, come cita il decreto, “la consultazione dell’elenco è la modalità obbligatoria attraverso la quale i soggetti acquisiscono la comunicazione e l’informazione antimafia ai fini della stipula, dell’approvazione o dell’autorizzazione di contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici, indipendentemente dal loro valore”.

Per noi di United, che ci occupiamo quotidianamente di prevenzione del rischio reato in diversi ambiti operativi, questa notizia rappresenta indubbiamente una novità positiva sul piano generale. Estendendo, tuttavia, lo sguardo alla complessità dello scenario di mercato, nel quale operano migliaia di imprese legate ai settori “a rischio”, può essere utile sviluppare alcune riflessioni in base alla nostra esperienza.

La prima: “delitto d’impresa”. L’iscrizione alla whitelist è finalizzata a certificare che l’impresa non abbia subito infiltrazioni mafiose e, quindi, che la sua azione non sia “condizionata” dalla criminalità organizzata. Ma per quanto concerne la maggiore quota del business criminale connesso, ad esempio, alle opere di trasformazione e riqualificazione urbana e relative attività di bonifica, il sostituto procuratore nella Direzione Nazionale Antimafia, Roberto Pennisi, rileva “la tendenza del traffico illecito dei rifiuti a configurarsi come “Delitto di Impresa” e non come Delitto di Mafia”. Le contestazioni di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti coinvolgono, nella maggior parte dei casi, reti di imprese senza alcuna infiltrazione da parte dei clan; al di sotto di queste reti si trova poi l’arcipelago di micro-imprese (movimento terra, trasporto conto terzi, piccole forniture), dove è più frequente la presenza della criminalità organizzata.

La seconda: relazioni pericolose.  Non subire infiltrazioni mafiose non significa non avere relazioni con la criminalità organizzata. Può capitare, ad esempio, che un fornitore “pulito” si affidi a persone (rivelatesi come elementi di spicco della criminalità organizzata) in virtù della loro particolare capacità persuasiva nell’attività di “recupero crediti” nei confronti di imprese debitrici. Non esiste in questo caso una “infiltrazione” documentabile né relazione stabile; tuttavia, il mutuo vantaggio prodotto da simili azioni è l’humus ideale attraverso il quale la ‘Ndrangheta estende e consolida la sua presenza nel tessuto economico e sociale.

La terza: precarizzare l’azione criminale. Per le ragioni di cui sopra, l’iscrizione alla whitelist rappresenta un elemento necessario, ma non sufficiente, a garanzia del committente (sia esso pubblico o privato) rispetto al rischio reato. Ovviamente, la Pubblica Amministrazione è vincolata a procedure e azioni stabilite da leggi e regolamenti. Ma la logica della certificazione, intesa come “lasciapassare” (“sei pulito, puoi entrare in cantiere”), deve essere messa in discussione da un nuovo modello di prevenzione e analisi del rischio. Questo è quanto facciamo in United Risk. Partiamo da una considerazione fondamentale: ogni comportamento illecito viene pianificato in modo estremamente razionale, coordinato, modellato e attuato sulla base delle verifiche e delle azioni di controllo attese e prevedibili. Il modello United Risk rompe questo schema, non offre punti di riferimento sicuri per la pianificazione di azioni illecite; non esiste un “lasciapassare”: i controlli proseguono, sull’assetto societario e sull’attività dentro e fuori il cantiere, finché dura il contratto, a prescindere da qualunque elenco fornitori. La chiamiamo “precarizzazione del crimine”: rendere sempre più incerta e precaria la convenienza a violare le leggi.

© United Risk Management

22 Marzo 2017

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